Un
concetto nodale dell’analisi mitica (e più in generale della
ricerca narratologica) al quale si è fatto spesso riferimento è
quello di linearizzazione o sintagmatizzazione di un paradigma quale meccanismo
fondamentale della narrazione mitica. In proposito, oltre a quanto si
è già detto durante le lezioni, si possono vedere le definizioni
che del concetto forniscono A.J. Greimas–J. Courtés, Semiotica.
Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, trad. it. Firenze 1986,
s.vv. testualizzazione, discorsivizzazione, linearità / linearizzazione,
e in seconda istanza spazializzazione e attorizzazione. In tutti i casi
si tratta – per dirla in estrema sintesi – del passaggio da
un paradigma di entità astratte (strutture semiotiche profonde,
cioè latenti) a una mise en discours («discorsivizzazione»)
che le manifesta, a prescindere dal sistema semiotico o dalla lingua naturale
adottata (testo orale, testo scritto, pratica rituale, etc.); nel corso
di tale processo, la manifestazione delle strutture semiotiche profonde
si traduce in un dispositivo di attori (personaggi) e latitudini spazio-temporali
ben precise, com’è d’obbligo in ogni forma narrativa,
e l’intero complesso dei valori appartenenti alle strutture astratte
deve essere linearizzato, cioè ristrutturato secondo le regole
della linearità discorsiva e narrativa. «Poiché la
linearità è la proprietà del testo quando quest’ultimo
tende alla manifestazione, la linearizzazione è una procedura necessaria
ogni qual volta si sia costretti a manifestare questo o quel livello di
analisi, questa o quella semiotica [cioè il paradigma astratto
soggiacente al testo]. Questa operazione […] consiste nel riscrivere
in contiguità temporali o spaziali […] le organizzazioni
gerarchiche, i segmenti sostituibili, le strutture concomitanti, ecc.»
(Greimas-Courtés, op. cit., p. 196). Sottoposta al processo di
testualizzazione, una struttura latente subisce dunque una traduzione
che, se da una parte la manifesta, dall’altra la occulta, disponendo
secondo linee temporali ciò che la struttura dà come simultaneo,
incarnando lo stesso valore in più attori o più valori in
un solo attore, duplicando sequenze che l’analisi scopre riducibili
a una sola opposizione fondamentale, etc. In questa prospettiva, l’analisi
di un mito consiste nel risalire dalla manifestazione testuale alla struttura
profonda, compiendo a ritroso il processo della testualizzazione. Un saggio
di tale percorso fornisce C. Lévi-Strauss in Antropologia strutturale,
trad. it. Milano 1990 (ed. or. Paris 1964), pp. 231-259; si veda in part.
pp. 257s.: «spesso ci si è domandato perché mai i
miti, e più generalmente la letteratura orale, fanno un uso così
frequente del raddoppio, triplicazione o quadruplicazione di una stessa
sequenza. Se si accettano le nostre ipotesi, la risposta è facile.
La ripetizione ha una funzione peculiare, che è quella di rendere
manifesta la struttura del mito. Abbiamo mostrato infatti che la struttura
sincro-diacronica da cui il mito è caratterizzato permette di ordinarne
gli elementi in sequenze diacroniche […] che debbono essere lette
sincronicamente […]. Ogni mito possiede quindi una struttura a molti
piani che traspare in superficie, per così dire, nel procedimento
di ripetizione e grazie ad esso». |