Per una
panoramica sulle teorie del comico, e per le possibili connessioni con
il tema del ribaltamento carnevalesco, si tenga presente (in via preliminare)
la seguente sintesi:
1.
Qualche antefatto antico: Aristot. Poet. 5,1 (1449a
32ss).: la commedia, come dicevo, è imitazione di soggetti vili,
ma non sul piano di una totale malvagità, sibbene del brutto; e
il suo elemento è il ridicolo. Ora, il ridicolo è una deficienza
e un difetto, ma non doloroso né esiziale, come per l’appunto
la maschera comica è qualcosa di brutto e sgraziato che non desta
sofferenza (trad. di C. Gallavotti). Cf. per es. Cic. de or.
II 58,236: ridicoli sono soltanto o soprattutto i detti che denunciano
alcunché di sconveniente in modo non sconveniente; Quint. I 6C,3:
il biasimo grave è serio, il biasimo leggero è ridicolo.
2. Th. Hobbes, De homine (1657): la «passione
del riso» nasce dall’improvviso senso d’orgoglio che
il soggetto prova dinanzi alla debolezza o alla sconvenienza altrui, e
dunque – per contrasto – dinanzi alla propria forza. In qualche
senso essa può essere accostata all’ipotesi di R. Descartes,
Les passions de l’âme (1649): la «passione»
suscitata dalla «derisione» è analizzata quale misto
di gioia e odio, che si verifica quando un danno lieve (cf. Aristotele)
affligge una persona ritenutane meritevole. La teoria hobbesiana (nota
come ‘teoria della degradazione’ o ‘teoria della supremazia’)
è destinata a larga fortuna: la riprenderanno fra gli altri J.-F.
Marmontel (articolo Comique nell’Éncyclopédie),
F.-R. De Lamennais (Esquisse d’une philosophie, 1841),
Stendhal (Racine et Shakespeare, 1823), C. Baudelaire (De
l’essence du rire, 1855), F. Dostoevskij (Appunti per «L’adolescente»,
1875), A. Bain (The Emotions and the Will, New York 1847, 18883),
che la muterà precisando che l’oggetto di riso (oggetto degradato)
deve prima aver subito qualche sorta di sopravvalutazione perché
lo ‘scarto’ comico abbia luogo; più recentemente si
riferiscono in maniera esplicita a Hobbes o a Bain A.M. Ludovici (The
Secret of Laughter, New York 1933), A. Stern (Philosophie du
rire et des pleurs, 1949), C. Lalo (Esthetique du rire,
1949), A. Koestler (The Act of Creation, 1965); il centro dell’interesse
si sposta, specie con Stern e Lalo, sulla ‘degradazione’ dei
valori (più che delle persone) fatti oggetto di riso: il comico
è sempre il frutto di un giudizio valutativo fondato sullo scarto
fra sopravvalutazione e svalutazione.
3. J. Beattie, Essays (1764) individua la causa del comico
nella «contraddizione» o «incongruenza» fra le
percezioni provenienti da un unico oggetto; è certo una delle prime
attestazioni della teoria nota come ‘teoria dell’incongruenza’
o ‘della discordanza’, che sarà ripresa (indipendentemente
da Beattie) anche da A. Schopenhauer (Die Welt als Wille und Vorstellung,
1819): «il riso nasce da nient’altro che da un’incongruenza,
improvvisamente percepita, fra un concetto e gli oggetti reali che erano
pensati tramite quel concetto»; in questo senso il comico è
il frutto di uno scarto cognitivo fra gli oggetti e i concetti astratti
che li sussumono, cioè fra ‘intuizione’ (percettiva)
e ragione; si tratta di un approfondimento di quella che era già
l’opinione di I. Kant (Kritik der Urteilskraft, 1790),
secondo cui il riso nasce quando una «aspettazione tesa» a
un certo risultato si risolve in nulla, non corrispondendo (per l’intelletto)
alle sue previsioni: un contrasto, dunque, fra rappresentazioni (deludenti)
di origini corporea e preconcetti di origine intellettuale. Sulla stessa
linea sarà L. Dumont (Les causes du rire, 1864), che vedrà
nel comico un vero affronto al principio di identità o di non contraddizione,
e soprattutto Th. Lipps (Komik und Humor, 1898), la cui teoria
del comico come ‘compresenza di elementi contraddittori’ (alti
e bassi) in una sola percezione giocherà una forte influenza sui
pensatori successivi; da Lipps e da Kant dipende per esempio B. Croce
(Estetica, 1902), definendo il riso come un «piacere derivante
dal rilasciarsi delle nostre forze psichiche, che erano tese nell’aspettazione
di qualcosa che si riteneva importante». Indipendentemente da Dumont
e Lipps, si era mosso H. Spencer (The Psychology of Laughter,
1860), tentando di spiegare il riso come «incongruità discendente»,
ovvero come improvviso passaggio della coscienza (e della sua energia
psichica) «da cose grandi a cose piccole»: per questa via
– che con Spencer, e poi con Freud, si arricchisce di una spiegazione
psicofisiologica o psicodinamica – la ‘teoria dell’incongruenza’
si avvicina molto alla ‘teoria della degradazione’ di matrice
hobbesiana, per cui cf. punto 2. L’idea che il riso costituisca
in qualche modo una reazione dinanzi all’umiliazione dell’intelletto,
insieme all’antica prospettiva aristotelico-cartesiana del comico
come ‘danno lieve’, è ripresa da W. McDougall (The
Theory of Laughter, 1903), che considera il riso un ‘istinto
primario’ di difesa contro sensazioni che in sé dovrebbero
destare nel sogget-to un vivo dispiacere. L’idea che il riso costituisca
un fondamentale ‘meccanismo anti-shock’ (particolarmente attivo
nei bambini) è ripresa in séguito da M. Eastman (Enjoyment
of Laughter, 1936).
4. H. Bergson, Le rire (1900) lancia la celebre
definizione del comico come «qualcosa di meccanico innestato sul
vivente», laddove, nel contesto della filosofia vitalistica bergsoniana,
il ‘vivente’ è flusso, evoluzione, metamorfosi incessante,
e il ‘meccanico’ (cioè il comico) un’improvvisa
interruzione di questo flusso; il riso ha per Bergson il valore di una
spontanea sanzione sociale, perché il comico costituisce una colpa
contro il processo di continuo riadattamento che la società richiede
ai suoi membri. Bergson sottolinea così il carattere eminentemente
culturale del riso, che non si dà se non in un contesto sociale
e comunitario. Da questo spunto partirà E. Dupréel (Le
problème sociologique du rire, 1928) per sottolineare nel
riso il valore di «meccanismo escludente» rivolto da un gruppo
verso un individuo, o da un gruppo più ampio verso un sottogruppo
più ristretto. Una notevole evoluzione contemporanea di tale impostazione
è quella di F. Ceccarelli (Riso e sorriso, 1988), che
in prospettiva etologica interpreta il riso come particolare risposta
del gruppo dinanzi a un individuo che passi dall’emissione di ‘messaggi
di dominanza’ (o addirittura ‘messaggi di minaccia’)
all’emissione di ‘messaggi di sottomissione’: da questo
punto di vista la teoria di Ceccarelli riprende l’ipotesi hobbesiana
della degradazione.
5. S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione
con l’inconscio (1905) costituisce una revisione originale
della teoria spenceriana (da cui mutua l’ipotesi psicodinamica)
e della teoria di Lipps, verso i quali il padre della psicoanalisi confessa
i suoi debiti: l’apporto freudiano consiste nel precisare che l’ammontare
di energia psichica improvvisamente liberata (di cui il riso costituisce
il meccanismo abreattivo) deriva non tanto da un ‘contrasto’
(di carattere intellettualistico) fra due concetti ovvero fra un concetto
e una percezione, bensì dal repentino riattivarsi di modalità
psichiche originarie, contro le quali la coscienza aveva eretto barriere
che necessitavano di un notevole dispendio energetico; il ‘risparmio’
dovuto all’improvvisa caduta di tali barriere – caduta in
cui consiste lo spettacolo del comico – libera la quantità
di energia utilizzata dal riso. Il comico è dunque un’improvvisa
intrusione di logiche inconsce entro un contesto di ‘controllo’
razionale esercitato dalla coscienza su fatti, comportamenti, valutazioni.
Tali intrusioni possono essere ‘innocenti’ oppure marcate
da forti cariche aggressive. La teoria freudiana sarà ripresa (in
senso apertamente cognitivista) da M. Chapiro (L’illusion comique,
1940). Su una linea analoga si può collocare anche l’opera
assai fortunata di A. Koestler (cf. sopra, punto 2), che spiega il comico
come un effetto di ‘degradazione’ derivante da un più
generale meccanismo di ‘bisociazione’, che si verifica ogniqualvolta
una certa realtà sia percepita secondo due logiche diverse e apparentemente
contraddittorie: procedimento creativo per eccellenza, la ‘bisociazione’
genera comico quando costringe a far convergere su un unico oggetto giudizi
valutativi di carattere opposto. L’ipotesi di Koestler è
ripresa fra gli altri da C. Lévi-Strauss (L’homme nu,
1974).
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