Velleio, Storia romana, 1,16-18 (trad. di Renzo Nuti)
| XVI.1 
        Cum haec particula operis uelut formam propositi excesserit, quamquam 
        intellego mihi in hac tam praecipiti festinatione quae me, rotae proniue 
        gurgitis ac uerticis modo, nusquam patitur consistere, paene magis necessaria 
        praetereunda quam superuacua amplectenda, nequeo tamen temperare mihi 
        quin rem saepe agitatam animo meo neque ad liquidum ratione perductam 
        signem stilo. 2 Quis enim abunde mirari potest, quod 
        eminentissima cuiusque professionis ingenia in eandem formam et in idem 
        artati temporis congruere spatium et, quemadmodum clausa capso alioque 
        saepto diuersi generis animalia, nihilominus, separata alienis, in unum 
        quaeque corpus congregantur, ita cuiusque clari operis capacia ingenia 
        in similitudinem et temporum et profectuum semet ipsa ab aliis separauerunt? 
        3 Vna neque multorum annorum spatio diuisa aetas per 
        diuini spiritus uiros, Aeschylum, Sophoclen, Euripiden, illustrauit tragoediam; 
        una priscam illam et ueterem sub Cratino Aristophaneque et Eupolide comoediam; 
        ac nouam [comicam] Menander aequalesque eius aetatis magis quam operis 
        Philemo ac Diphilus et inuenere intra paucissimos annos neque imitandam 
        reliquere. 4 Philosophorum quoque ingenia, Socratico 
        ore defluentia, omnium quos paulo ante enumerauimus, quanto post Platonis 
        Aristotelisque mortem floruere spatio? 5 Quid ante Isocratem, 
        quid post eius auditores eorumque discipulos clarum in oratoribus fuit? 
        Adeo quidem artatum angustiis temporum ut nemo memoria dignus alter ab 
        altero uideri nequiuerint. | XVI.1 Sebbene 
        questa piccola parte della mia opera sia uscita, per così dire, 
        dal piano propostomi e io comprenda come, in questo procedere così 
        vertiginoso che a mo' di ruota o di rapido gorgo o di vortice non consente 
        che mi soffermi in alcun punto, debba tralasciare l'essenziale quasi più 
        che abbracciare il superfluo, tuttavia non posso fare a meno di esporre 
        per iscritto un problema che ho spesso dentro di me affrontato, senza 
        mai averlo messo in chiaro razionalmente. 2 Chi potrebbe 
        infatti meravigliarsi a sufficienza che gli ingegni più eccelsi 
        nelle singole arti si trovino insieme nello stesso grado di perfezione 
        e in un medesimo ristretto spazio di tempo e che, come animali di specie 
        diverse, pur chiusi in gabbia o in un altro recinto, tuttavia separandosi 
        dagli altri di altre specie, si riuniscono ciascuno in un gruppo a sé 
        stante, così gli ingegni capaci di creare ciascuno opere nel loro 
        genere sublimi si siano separati dagli altri per confluire in un medesimo 
        periodo di tempo e per raggiungere un medesimo livello? 3 Una 
        sola epoca delimitata dallo spazio di non molti anni ha dato lustro alla 
        tragedia grazie a uomini dall'ispirazione divina, quali Eschilo, Sofocle, 
        Euripide, una sola epoca ha dato lustro a quella commedia antica e primitiva 
        del tempo di Cratino, Aristofane ed Eupoli; e la commedia nuova la crearono 
        nello spazio di pochissimi anni, e la lasciarono inimitabile, Menandro, 
        Filemone e Difilo, pari a Menandro quest'ultimi più per il tempo 
        in cui vissero che per le opere che composero. 4 Anche 
        le eccelse menti di tutti i filosofoi usciti dalla scuola di Socrate, 
        che abbiamo elencato poco sopra, quanto tempo dopo la morte di Platone 
        e di Aristotele fiorirono? 5 Prima di Isocrate e dopo 
        i suoi discepoli e i loro scolari, chi fu famoso nell'eloquenza? E furono 
        compresi in uno spazio di tempo così ristretto che quanti di essi 
        meritarono di essere ricordati, poterono vedersi l'un l'altro. XVII.1 
        Questo si verificò in Grecia no più che a Roima. 
        Infatti se no si vuol risalire a quelle manifestazioni rozze e grossolane 
        e meritevoli di lode solo perché si tratta di novità, la 
        tragedia romana è tutta in Accio e nei suoi seguaci; le garbate 
        facezie dell'arguzia latina brillarono quasi nello stesso tempo per merito 
        di Cecilio, Terenzio e Afranio. 2 Quanto agli storici, 
        inserendo anche Livio nell'epoca degli autori che lo hanno preceduto, 
        li produsse tutti, se si eccettuano Catone e alcuni altri scrittori antichi 
        e oscuri, uno spazio di tempo compreso in meno di ottanta anni, così 
        come non risale più addietro né scende più in basso 
        la ricca fioritura dei poeti. 3 D'altra parte l'eloquenza, 
        l'arte forense e la perfezione e lo splendore della prosa oratoria, eccettuato 
        ancora Catone (sia detto con buona pace di P. Crasso, di Scipione, di 
        Lelio, dei Gracchi, di Fannio e di Servio Galba), vennero a fioritura 
        tutte quante al tempo di Tullio, loro più alto rappresentante, 
        sicché potresti dilettarti di ben pochi oratori che lo abbiano 
        preceduto, mentre nessuno potresti ammirare che o non sia stato da Cicerone 
        visto o che non abbia egli stesso visto Cicerone. 4 Chiunque 
        osservi attentamente i segni distintivi delle varie epoche troverà 
        che la medesima cosa è accaduta per i grammatici, i ceramisti, 
        i pittori, gli scultori e cioè l'eccellenza nei singoli generi 
        è racchiusa in ristretti limiti di tempo. 5 Per 
        quanto io continuamente ricerchi le cause per le quali ingegni simili 
        si raggruppano in epoche singole e si trovano uniti nella medesima attività 
        e nella medesima brillante riuscita, nessuna mai ne trovo di verosimili, 
        tra le quali principalmente queste. 6 L'emulazione nutre 
        gli ingegni e ora l'invidia, ora l'ammirazione spronano all'imitazione, 
        e quello che si è cercato col più grande amore sale per 
        natura al punto più alto; è però difficile restare 
        nella perfezione e per natura regredisce ciò che non può 
        progredire. 7 E come all'inizio ci accingiamo con ardore 
        a raggiungere coloro che giudichiamo primi, così quando disperiamo 
        che questi possano essere o superati o uguagliati, lo slancio e insieme 
        la speranza vengono meno e smettono di perseguire ciò che non possono 
        raggiungere; abbandonando per così dire una materia proprietà 
        di altri, andiamo in cerca di una nuova; abbandonato il campo in cui non 
        possiamo eccellere, ne cerchiamo un altro sul quale concentrare i nostri 
        sforzi: ne consegue che questo frequente e rapido cambiamento è 
        il più grande ostacolo alla perfezione. |