Quintiliano, Institutio oratoria, 2, 10 (trad. di Rossella Granatelli)

1. In his primis operibus, quae non ipsa parua sunt sed maiorum quasi membra atque partes, bene instituto ac satis exercitato iam fere tempus adpetet adgrediendi suasorias iudicialesque materias: quarum antequam uiam ingredior, pauca mihi de ipsa declamandi ratione dicenda sunt, quae quidem ut ex omnibus nouissime inuenta, ita multo est utilissima. 2. Nam et cuncta illa de quibus diximus in se fere continet et ueritati proximam imaginem reddit, ideoque ita est celebrata ut plerisque uideretur ad formandam eloquentiam uel sola sufficere. Neque enim uirtus ulla perpetuae dumtaxat orationis reperiri potest quae non sit cum hac dicendi meditatione communis. 3. Eo quidem res ista culpa docentium reccidit ut inter praecipuas quae corrumperent eloquentiam causas licentia atque inscitia declamantium fuerit: sed eo quod natura bonum est bene uti licet. 4. Sint ergo et ipsae materiae quae fingentur quam simillimae ueritati, et declamatio, in quantum maxime potest, imitetur eas actiones in quarum exercitationem reperta est. 5. Nam magos et pestilentiam et responsa et saeuiores tragicis nouercas aliaque magis adhuc fabulosa frustra inter sponsiones et interdicta quaeremus. Quid ergo? numquam haec supra fidem et poetica, ut uere dixerim, themata iuuenibus tractare permittamus, ut expatientur et gaudeant materia et quasi in corpus eant? 6. Erat optimum, sed certe sint grandia et tumida, non stulta etiam et acrioribus oculis intuenti ridicula, ut, si iam cedendum est, impleat se declamator aliquando, dum sciat, ut quadrupedes, cum uiridi pabulo distentae sunt, sanguinis detractione curantur et sic ad cibos uiribus conseruandis idoneos redeunt, ita sibi quoque tenuandas adipes, et quidquid umoris corrupti contraxerit emittendum si esse sanus ac robustus uolet. 7. Alioqui tumor ille inanis primo cuiuscumque ueri operis conatu deprehendetur. Totum autem declamandi opus qui diuersum omni modo a forensibus causis existimant, hi profecto ne rationem quidem qua ista exercitatio inuenta sit peruident; 8. nam si foro non praeparat, aut scaenicae ostentationi aut furiosae uociferationi simillimum est. Quid enim attinet iudicem praeparare qui nullus est, narrare quod omnes sciant falsum, probationes adhibere causae de qua nemo sit pronuntiaturus? Et haec quidem otiosa tantum: adfici uero et ira uel luctu permoueri cuius est lubidrii nisi quibusdam pugnae simulacris ad uerum discrimen aciemque iustam consuescimus! 9. Nihil ergo inter forense genus dicendi atque hoc declamatorium intererit? Si profectus gratia dicimus, nihil. Vtinamque adici ad consuetudinem posset ut nominibus uteremur et perplexae magis et longioris aliquando actus controuersiae fingerentur et uerba in usu cotidiano posita minus timeremus et iocos inserere moris esset: quae nos, quamlibet per alia in scholis exercitati simus, tirones in foro inueniunt. 10. Si uero in ostentationem comparetur declamatio, sane paulum aliquid inclinare ad uoluptatem audientium debemus. 11. Nam et iis actionibus quae in aliqua sine dubio ueritate uersantur, sed sunt ad popularem aptatae delectationem, quales legimus panegyricos totumque hoc demonstratiuum genus, permittitur adhibere plus cultus, omnemque artem, quae latere plerumque in iudiciis debet, non confiteri modo sed ostentare etiam hominibus in hoc aduocatis. 12. Quare declamatio, quoniam est iudiciorum consiliorumque imago, similis esse debet ueritati, quoniam autem aliquid in se habet epidicticon, nonnihil sibi nitoris adsumere. 13. Quod faciunt actores comici, qui neque ita prorsus ut nos uulgo loquimur pronuntiant, quod esset sine arte, neque procul tamen a natura recedunt, quo uitio periret imitatio, sed morem communis huius sermonis decore quodam scaenico exornant. 14. Sic quoque aliqua nos incommoda ex iis quas finxerimus materiis consequentur, in eo praecipue quod multa in iis relincuntur incerta, quae sumimus ut uidetur, aetates facultates liberi parentes, urbium ipsarum uires iura mores, alia his similia: quin aliquando etiam argumenta ex ipsis positionum uitiis ducimus. Sed haec suo quoque loco. Quamuis enim omne propositum operis a nobis destinati eo spectet ut orator instituatur, tamen, ne quid studiosi requirant, etiam si quid erit quod ad scholas proprie pertineat in transitu non omittemus.

1. Per chi è stato ben istruito e si è sufficientemente esercitato in questi lavori preliminari, che non sono di poco momento, ma costituiscono gli elementi e le parti di quelli più ampi, è ormai tempo di avvicinarsi alle suasorie e alle controversie, ma prima di addentrarmi nel loro studio, debbo dire alcune cose sul metodo della declamazione, che, sebbene sia il metodo scoperto più recentemente di tutti, tuttavia risulta di gran lunga il più utile 2. Infatti contiene in sé quasi tutti gli elementi di cui abbiamo parlato sopra e dà un'impressione molto vicina alla realtà ed è stato celebrato a tal punto da sembrare ai più persino sufficiente da solo ad educare all'eloquenza, poiché non c'è nessun pregio del discorso continuato che non si trovi anche in questo esercizio preparatorio della retorica. 3. Purtroppo però per colpa degli insegnanti la cosa ha talmente mutato il suo volto da essere stata per il capriccio e l'ignoranza di chi declamava tra le cause principali della corruzione dell'eloquenza: perché bisogna sapersi servire a dovere di ciò che per sua natura è valido. 4. Dunque i contenuti fittizi che si immaginano dovrebbero essere il più possibile vicini alla realtà e la declamazione dovrebbe, quanto più è possibile, riprodurre quei discorsi, per prepararsi ai quali è stata immaginata. 5. Infatti invano cercheremo nelle obbligazioni e negli interdetti pretori gli incantamenti, le pestilenze, i responsi degli oracoli, le matrigne più crudeli che si incontrano nelle tragedie e molte altre cose ancora più incredibili. E che dunque? Non permetteremo mai ai giovani di trattare questi temi inverosimili e, per dire le cose come stanno, derivati dalla poesia, perché vi si dilunghino e si appassionino ai contenuti e, con rispetto parlando, li evacuino una volta per tutte? 6. Sarebbe la cosa migliore da fare, ma, non potendolo fare, almeno i temi siano grandiosi ed enfatici, non sciocchi e ridicoli per chi li esamina con un occhio più critico, in modo tale che, se bisogna arrivare ad un compromesso, il declamatore ne faccia una buona volta una scorpacciata, purché sappia che, come i quadrupedi si curano con un salasso, dopo che si sono abbuffati d'erba fresca e così tornano ad un cibo adatto a conservare le forze, parimenti anche loro dovranno smaltire la gonfiezza e buttar fuori tutti i liquidi guasti che hanno accumulato, se vorranno essere sani e robusti. 7. Altrimenti al primo tentativo di cimentarsi in un qualsiasi affare reale saranno assaliti da quella vuota gonfiezza. Coloro poi che ritengono l'intera area del declamare del tutto diversa dalle cause che si discutono nel foro, in verità non comprendono neppure il motivo per cui questo esercizio è stato escogitato; 8. poiché se non prepara alla vita forense, diventa estremamente simile o ad una simulazione teatrale o ai vaneggiamenti di uno stolto. Infatti a che serve predisporre un giudice che non c'è, narrare dei fatti che tutti sanno inventati, portare le prove di una causa che non sarà mai giudicata? Certamente tutto ciò sarebbe inutile, ma quale beffa provare degli stati d'animo e mostrarsi irati o afflitti, se tutto ciò non servisse ad abituarci con la simulazione della schermaglia alla vera competizione ed al reale combattimento! 9. Non c'è dunque differenza tra il metodo di parlare del foro e quello della declamazione? Se parliamo dal punto di vista del progresso negli studi, nessuna. Ben vengano ad aggiungersi alla consuetudine scolastica, l'uso di nomi determinati e la simulazione di controverse più complicate e talvolta più lunghe a pronunciarsi e il minor timore di servirsi di parole d'uso comune e l'abitudine di inserire battute di spirito: tutte cose che, per quanto ci siamo esercitati su quant'altro fornisce la scuola, ci trovano impreparati nel foro. 10. Se invece la declamazione si appresta per far mostra di sé, bisogna certamente volgersi un po' al piacere degli spettatori. 11. Infatti nelle esibizioni del tipo dei panegirici e dell'intero genere dimostrativo, che senza dubbio hanno per oggetto qualche verità, ma sono adattate al diletto del pubblico, è permesso usare maggiori raffinatezze, e non solo manifestare, ma addirittura ostentare, davanti al pubblico radunato per questo scopo, tutti gli accorgimenti che perlopiù nel genere giudiziario debbono rimanere celati. 12. Perciò la declamazione, in quanto immagine di orazioni giudiziarie e deliberative, deve essere simile alla realtà, ma nondimeno in quanto portatrice anche di qualcosa di epidittico deve avere in sé una qualche eleganza. 13. Allo stesso modo degli attori comici, i quali non parlano del tutto normalmente così come facciamo noi, poiché non sarebbe professionale, né si allontanano troppo dalla realtà in modo che a causa di questo difetto la sua immagine scompaia del tutto, ma abbelliscono il modo di parlare comune di una certa dignità teatrale, 14. così anche noi siamo perseguitati da qualche inconveniente derivato dal materiale che abbiamo creato, soprattutto dal fatto che rimangono molte incertezze che noi presupponiamo come ci pare, come per esempio l'età, i beni, i figli, i genitori dei personaggi immaginati oppure l'importanza, le leggi, le consuetudini delle città e simili. 15. Ma di ciò parleremo a suo tempo. Infatti, sebbene il proposito che ci siamo prefissi con quest'opera sia tutto proteso all'educazione del perfetto oratore, tuttavia, affinché gli studiosi non sentano la mancanza di nulla, anche se ci sarà qualcosa che propriamente riguarda la scuola, noi non tralasceremo di accennarvi di sfuggita.