F. Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta, 45



Il mio adversario in cui veder solete
gli occhi vostri ch'Amore e 'l ciel honora,
colle non sue bellezze v'innamora
più che 'n guisa mortal soavi et liete.
5 Per consiglio di lui, donna, m'avete
scacciato del mio dolce albergo fora:
misero exilio, avegna ch'i' non fôra
d'abitar degno ove voi sola siete.
Ma s'io v'era con saldi chiovi fisso,
10 non devea specchio farvi per mio danno,
a voi stessa piacendo, aspra et superba.
Certo, se vi rimembra di Narcisso,
questo et quel corso ad un termino vanno,
benché di sì bel fior sia indegna l'erba.

Note da F. Petrarca, Rime, Trionfi e poesie latine, a c. di F. Neri - G. Martellotti - E. Bianchi - N. Sapegno, Milano-Napoli 1951, p. 65:

1. Il mio adversario: lo specchio 3. non sue: perché son quelle di Laura. 6. del mio dolce albergo: dal vostro cuore. 7. misero: degno di compassione; avegna ch': sebbene; fora: sarei. 8. ove voi sola siete degna d'abitare. 9. Ma s'io v'era...: se voi fermamente mi amavate. 11. piacendo a voi stessa, lo specchio non doveva farvi aspra e superba a mio danno. 13. il vostro cammino e quel di Narciso fanno capo allo stesso fine. 14. benché, se quello si mutò in fiore sul prato, ove troverebbe posto la vostra bellezza?


cf. anche Trionfo d'amore 136ss.
Non menò tanti armati in Grecia Xerse
quanti ivi erano amanti ignudi e presi,
tal che l'occhio la vista non sofferse,
varii di lingue, e varii di paesi,
140 tanto che di mille un non seppi il nome,
e fanno historia quei pochi ch'intesi.
Perseo era l'uno; e volsi saper come
Andromeda gli piacque in Ethiopia,
vergine bruna i begli occhi e le chiome;
145 ivi il vano amador che la sua propia
bellezza desiando fu distrutto,
povero sol per troppo averne copia,
che divenne un bel fior senza alcun frutto;
e quella che, lui amando, *ignuda *voce*
150 fecesi e 'l corpo un duro sasso asciutto.