G. B. Marino, Adone, canto 5 allegoria:


La TRAGEDIA.
Per Mercurio, che mettendo Adone in parole gli persuade con diversi essempi a ben amar Venere, si dimostra la forza d'una lingua efficace e come l'essortazioni de' perversi ruffiani sogliono facilmente corrompere un pensier giovanile. Ne' favolosi avvenimenti di que' giovani da esso Mercurio raccontati, si dà per lo più ad intendere la leggerezza ed incostanza puerile. In Narciso è disegnata la vanità degli uomini morbidi e deliziosi iquali, non ad altro intesi che a compiacersi di sé medesimi e disprezzatori di Eco, ch'è figura della immortalità de' nomi, alla fine si trasformano in fiori, cioè a dire che se ne muoiono miseramente senza alcun pregio, poiché niuna cosa più di essi fiori è caduca e corrottibile. In Ganimede fatto coppier di Giove, vien compreso il segno d'aquario, ilqual con larghissime e copiosissime piogge dà da bere a tutto il mondo. Per Ciparisso mutato in cipresso, siamo avertiti a non porre con ismoderamento la nostra affezzione alle cose mortali, accioché poi mancandoci, non abbiamo a menar la vita sempre in lagrime ed in dolori. Ila, come accenna l'importanza della voce greca, non vuol dir altro che selva ed è amato da Ercole, percioché Ercole come cacciatore di mostri, era solito di frequentar le foreste.



G. B. Marino, Adone, canto 5, st. 16-:

16 Ma perché muto veggioti e pensoso,
sia pensier, sia rispetto o sia cordoglio;
consolar mesto, assecurar dubbioso,
consigliar sconsigliato oggi ti voglio.
Del bel, per cui ne vai forse fastoso,
ah non ti faccia insuperbire orgoglio,
però ch'è fior caduco e, se nol sai,
fugge e fuggito poi non torna mai.
17 E ti vo' raccontar, se non t'aggrava,
ciò ch'adivenne al misero *Narciso*.
Narciso era un fanciul ch'innamorava
tutte le belle ninfe di Cefiso.
La più bella di lor, che s'appellava
Eco per nome, ardea del suo bel viso
ed adorando quel divin sembiante
parea fatta idolatra e non amante.
18 Era un tempo costei ninfa faconda
e note sovr'ogni altra ebbe eloquenti,
ma da Giunon crucciosa ed iraconda
le fur lasciati sol gli ultimi accenti.
Pur, seben la sua pena aspra e profonda
distinguer non sapean tronchi lamenti,
supplia, pace chiedendo ai gran martiri,
or con sguardi amorosi, or con sospiri.
19 Ma l'ingrato garzon chiuse le porte
tien di pietate al suo mortal dolore.
Porta negli occhi e nele man la morte,
dele fere nemico e più d'amore.
Arma, crudo non men che bello e forte,
d'asprezza il volto e di fierezza il core.
Di sé s'appaga e lascia in dubbio altrui
se grazia o ferità prevaglia in lui.
20 "Amor (dicean le verginelle amanti)
o da questo sord'aspe Amor *schernito*,
dov'è l'arco e la face onde ti vanti?
perché non ne rimane arso e ferito?
Deh fa signor che con sospiri e pianti
ami invan non amato e non gradito!
Come più tant'orgoglio omai sopporti?
vendica i propri scorni e gli altrui torti."
21 A quel caldo pregar l'orecchie porse
l'arcier contro il cui stral schermo val poco
e 'l cacciator superbo un giorno scorse
tutto soletto in solitario loco.
Stanco egli di seguir cinghiali ed orse
cerca riparo dal celeste foco;
tace ogni augello al gran calor ch'essala,
salvo la roca e stridula cicala.
22 Tra verdi colli in guisa di teatro
siede rustica valle e boschereccia;
falce non osa qui, non osa aratro
di franger gleba o di tagliar corteccia;
fonticel di bell'ombre algente ed atro
inghirlandato di fiorita treccia
qui dal sol si difende e sì traluce
ch'al fondo cristallin l'occhio conduce.
23 Su la sponda letal di questo fonte
che i circostanti fior di perle asperge
e fa limpido specchio al cavo monte
che lo copre dal sol quando più s'erge,
appoggia il petto e l'affannata fronte,
le mani attuffa e l'arse labra immerge.
E quivi Amor, mentr'egli a ber s'inchina,
vuol ch'impari a schernir virtù divina.
24 Ferma nele bell'onde il guardo intento
e la propria sembianza entro vi vede;
sente di strano amor novo tormento
per lei che finta imagine non crede;
abbraccia l'ombra nel fugace argento
e sospira e desia ciò che possiede;
quelche cercando va porta in sestesso,
miser, né può trovar quelch'ha da presso.
25 Corre per refrigerio al'onda fresca,
ma maggior quindi al cor sete gli sorge;
ivi sveglia la fiamma, accende l'esca,
dove a temprar l'arsura il piè lo scorge;
arde e perché l'ardor vie più s'accresca
la sua stessa beltà forza gli porge
e, nel'incendio d'una fredda stampa,
mentre il viso si bagna il petto avampa.
26 La contempla e saluta e tragge ahi folle!
da mentito sembiante affanno vero.
Egli amante, egli amato, or gela, or bolle,
fatto è strale e bersaglio, arco ed arciero.
Invidia a quell'umor liquido e molle
la forma vaga e 'l simulacro altero
e, geloso del bene ond'egli è privo,
suo rival su la riva appella il rivo.
27 Mancando alfin lo spirto al'infelice,
troppo a sestesso di piacer gli spiacque.
Depose a piè del'onda ingannatrice
la vita e, morto in carne, in fior rinacque.
L'onda che già l'uccise, or gli è nutrice,
perch'ogni suo vigor prende dal'acque.
Tal fu il destin del vaneggiante e vago
vagheggiator dela sua vana imago.
28 E così fece il ciel del grave oltraggio
dela sprezzata ninfa alta vendetta.
Ma tu, credo ben io, se sarai saggio,
aborrir non vorrai quelche diletta
e, sgombro il sen d'ogni rigor selvaggio,
godrai l'età fiorita e giovinetta,
idolo d'una dea, dal cui bel viso
impara ad esser bello il paradiso;


G. B. Marino, La Galleria, 8(Narciso di Bernardo Castello).

Chi crederà da mortal mano espresso,
CASTELLO, il bel Garzon, ch'a l'ombra estiva
là d'un liquido specchio in su la riva
Idolo ed Idolatra è di se stesso?
Non finto il fonte, e chi si mira in esso
è vivo, e vero, e vera è l'onda, e viva.
Se tace l'un, l'altra di suono è priva,
ch'opra sia però d'Arte io non confesso.
Non favella il fanciul, però che 'l viso,
onde cotanto a se medesmo piacque,
sta tutto a contemplar rapito e fiso.
E la Ninfa, ch'estinta ancor non tacque,
fugge sdegnosa il loco ov'è *Narciso*,
e nega il mormorio rendere a l'acque.

G. B. Marino, La Galeria, 9 (Narciso di Bernardo Castello).

Qui dipinto è Narciso,
ma non so dir, qual più vivace e bello
rappresenti il suo viso,
o la tela, o 'l ruscello.
Quella in me, questo in lui
tragge foco da l'onda, e dal pennello.
Così dàn forza, acciò che piaccia altrui
come a se stesso ei piacque,
l'Arte ai colori, e la Natura a l'acque.

G. B. Marino, La Galeria, 12 (Narciso di Francesco Maria Vanni).

Quel Narciso, che stanco ed assetato
su 'l fonte a vagheggiar se stesso alletta,
e de l'arco d'Amor segno e saetta
è ferito, e ferisce, amante amato;
dal tuo divin pennel, VANNI, animato
par le parole ad or ad or prometta;
e la favella libera e perfetta,
ch'a la lingua negasti, agli occhi hai dato.
Nel lino, onde l'imagine è contesta,
se stessa intenta e stupida Natura,
qual Tigre in specchio, a rimirar s'arresta.
Tal che fa doppio inganno una figura,
e delude e schernisce e quello e questa:
l'un la fontana, e l'altra la pittura.