J. La Fontaine, Favole, XI, L'uomo e la sua immagine


(Al signor Duca de La Rochefoucauld)

Un uomo molto di se stesso amante
e che, senza rivali, d'un bell'uomo
si dava l'aria, in ciò fisso e beato,
se la prendea di rabbia con gli specchi
ch'ei dicea tutti falsi e accusatori.
Per trarlo d'illusion fece la sorte
benevola che, ovunque egli girasse
coll'occhio, non vedesse altro che specchi.
Specchi dentro le case e in le botteghe
de' merciai, specchi in petto ai bellimbusti
e fin sulle cinture delle belle,
ovunque insomma a risanarlo il caso
gli facea balenar davanti questo
tacito consigliere delle belle.
Al mio Narciso allor altro non resta
che andare, per fuggir tanto tormento,
in paesi selvaggi e sconosciuti,
ove di specchi non vi fosse il segno.
Ma specchio ancora, o illusion, discende
ivi un bel fiume, che da pura fonte
sgorga e l'attira di sì strano incanto
ch'ei non può dal cristal torcer lo sguardo.

Della favola è questa la morale,
che non d'un solo io traggo a beneficio,
ma di quanti son folli in questo mondo.
L'anima umana è l'uomo vanitoso
troppo amante di sé: gli specchi sono
gli altrui difetti in cui come in ispeglio
ogni nostro difetto si dipinge.
E il libro delle Massime, o mio Duca,
è quel fiume che l'anima rapisce.