G. Boccaccio, Genealogia deorum gentilium, LIX, Di Narciso, figlio di Cefiso
Narciso fu figlio di Cefiso e della ninfa Liriope, come bene
mostra Ovidio, quando dice
La prima a saggiare l'autenticità delle sue parole
fu l'azzurra Lirìope, che Cefiso un giorno aveva spinto
in un'ansa della sua corrente, imprigionato fra le onde
e violentato. Rimasta incinta, la bellissima ninfa
partorì un bambino che sin dalla nascita suscitava amore,
e lo chiamò Narciso. [Met. III 341-346]
Su questo stesso Narciso, Ovidio riporta una favola abbastanza nota. Dice infatti
che quando nacque Narciso, fu portato dal vate Tiresia, per ricevere un responso
sulla sua vita futura. Il quale rispose a chi lo interrogava che il bambino
sarebbe vissuto tanto a lungo, quanto avesse differito il momento di vedere
se stesso. Questo vaticinio sulle prime fu oggetto della risa di chi lo ascoltò,
ma alla fine non mandò di andare ad effetto. Infatti, quando il bambino
fu cresciuto come un bellissimo adolescente, diventato cacciatore, fu amato
da molte ninfe, ma soprattutto da Eco, ninfa del Parnaso. Ma restando inesorabile,
e non facendo alcun conto di tutti quelli che lo amavano, per le preghiere delle
ninfe si ottenne ciò che dopo poco tempo accadde. Infatti un giorno,
essendosi rifugiato in una valle, spossato sia dalla fatica della caccia che
dalla calura della stagione estiva, si chinò assetato su una limpida
fonte, e vista la propria immagine, che non aveva mai contemplato prima, credendola
una ninfa della fonte, subito ne ammirò la bellezza e fu preso d'amore;
e non potendo toccare ciò che credeva di poter toccare, messosi nei lacci
di una stolta concupiscenza, dopo lunghi lamenti, dimentico di se stesso, morì
di inedia sul posto, e per la compassione delle ninfe fu tramutato nel fiore
che porta il suo nome.